Skip to main content
Bron: Gazzetta del Mezzogiorno, 1998-09-19 
Auteur: N. Morisco

Il Volo di Capitan Cosmo

I Popol Vuh, storico gruppo dell'avanguardia tedesca, apriranno domani sera a Molfetta con il loro Sospiro di gruppo per la Riconciliazione della Terra con gli Uomini, la 13.ma edizione del festival «Time Zones». Con Florian Fricke, che ne è stato anima e corpo in questi trent'anni, abbiamo provato a ricostruire una storia possibile del progetto P.V.

II nome del gruppo è quello dal libro sacro Maya dei morti. Popol vuol dire «unione», «gente»; Vuh «luce», «sole», «divinità». Qual è il significato profondo di questo nome?

«Non è chiarissimo il vero significato di queste due parole. Il  libro è pieno di testi che riguardano miti e iniziazioni degli indios. Scelsi il nome Popol Vuh perché a quei tempi, parlo del '68, tutto doveva avere un sapore rivoluzionario. E poi volevo che fosse testimoniato fortemente il significato di ricerca».

Musica come chiave di accesso a una diversa dimensione della realtà.

 «La musica ha dentro anche un aspetto distruttivo. La musica più che renderci migliori ci permette di arrivare al centro della nostra mente, non di accedere ad una diversa dimensione della realtà ma ad una diversa dimensione della mente. La musica è una chiave di accesso, ma non è l'unica».

La ricerca elettronica dei primi lavori («Affenstunde», «In Den Garten Pharaos») sembrava accomunarvi ai «corrieri cosmici» (Tangerine Dream, Klaus Schulze). Il suono visto quasi come entità assoluta nel solco della più classica tradizione germanica. 

«Allora in Germania circolava solo musica estremamente banale, contesti e suoni molto semplici ed orecchiabili, commerciali. Attorno al 1968 - anno di nascita dei Popol Vuh - tutto si mosse, anche la cultura e l'arte. Noi decidemmo di portare questo grande dinamismo nel nostro suono. La cosa che mi rammarica di più è che la musica che volevamo annientare a quei tempi dopo trent'anni è tornata di moda sotto forma di techno, spesso molto scadente».

Lei è autore delle musiche dei film di Herzog. Recitava persino in «L'enigma di Kaspar Hauser», molti la considerano il suo alter ego musicale.

«La musica dei Popol Vuh esprime esattamente il senso visionario dell'immagine di Herzog, penso a Fitzcarraldo, Aguirre, Nosferatu. Nonostante abbia vinto i premi più prestigiosi (Cannes, Mosca) continua a bere la birra dalla bottiglia, è sempre rimasto una persona modesta. Vive come uno student, come uno che ha tanta voglia di apprendere».

Qualcuno ha cominciato a catalogare i Popol Vuh nel calderone della New Age.

«Se avessi continuato a suonare per trent'anni la musica di Hosianna Mantra, avrei un'aurea di santità e non sarei qui adesso. La mia ricerca è in continua evoluzione. la vita è come un fiore, non è mai uguale. Non mi ritrovo assolutamente nei suoni della New Age e trovo profondamente errato identificarsi in un movimento. Un artista va sempre in una direzione autonoma. personale».

Quanto la tecnologia; largamente utilizzata nelle forme artistiche di oggi, può essere di aiuto all'arte e quanto invece, può contaminare l'autenticità di messaggi?

«E' cambiato l'utilizzo dell'elettronica nella musica, io ho utilizzato per primo l'elettronica come supporto. Adesso, invece, è uno strumento per la ricerca dell'anima. Considero positive le opportunità che offrono le nuove tecnologie».

Come sarà il progetto che presenterà domani sera a Molfetta?

«Ho conosciuto Time Zones con i cataloghi delle scorse edizioni, ne ho apprezzato il coraggio ed ho trovato una serie di convergenze "ideologiche" col mio progetto. Recentemente sono rimasto molto affascinato dalla Magnagrecia, in particolare Pitagora, i suoi grandi studi, la sua genialità. Scendere in Puglia è stata un'occasione imperdibile di scoprirne i luoghi, le atmosfere. Mi sono innamorato di Molfetta, è sicuramente il luogo più adatto al lavoro che ho immaginato. La zona retrostante il Duomo è un labirinto di case bianche che mi piacerebbe trasformare in un labirinto di suoni. La creazione di un labirinto sonoro, attraverso immagini e luci, uni sorta di rito di iniziazione, un po' quello che era per gli egiziani, che sfocia nella rappresentazione teatrale. Il labirinto sarà formato da cinque differenti spazi, cinque stati d'animo, e il mio filo d'Arianna per uscire da questo labirinto sarà il coinvolgimento totale all'interno di questo rituale acustico, cioè lasciarsi trasportare nella "respirazione" di gruppo che questa installazione prevede nella sua stazione finale. Spero che questa realizzazione sia un "mélange" - tra verità e teatro».