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Source: Ciao2001, nr.43, 1972, p.15-16
Author: Maurizio Baiata

Popol Vuh - la cosmogonia dei figli della musica

Alla base di un particolare tipo di ricerca sonora e’ lo smantellamento delle sovrastrutture armoniche, con i Popol Vuh si tende verso l’assoluto, e la stessa musica, con la sua penetrazione nel corpo, viene concepita come corpo, mente, dio. Il preziosismo tecnico viene smantellato per lasciare il posto all’essenza della musica: di qui la inimmaginabile forza del loro sound.

Il tentare di aprirsi verso una musica assolutamente libera, trasparente, non condizionata dai motivi commerciali è nelle intenzioni dei musicisti considerati all’avanguardia, il fine ultimo di quel tipo di ricerca che non si ferma alle limitazioni armoniche, ma scava alle fondamente psicologiche e sociali di una musica intesa come proiezione artistica dell’essenza stessa dell’uomo. Assistiamo cosi in campo jazzistico, rockistico ma solo in qualche caso, ed in quello ‘elettronico’ per eccellenza, all’espandersi del cosmo individuale di ogni gruppo od artista, ed al fluire contemporaneo e progressivo verso forme antischematische, metafisische, essenziali, spesso di difficile comprensione.
In questo contesto, seppure verso i confini di un orizzonte vastissimo, abbiamo parlato più volte e ci siamo compiaciuti nel trovare i sintomi di un progresso e di una ricettività eccezionali sopratutto nei gruppi tedeschi.
Cominciamo oggi un essame accurato di alcuni die essi, quando i vari Amon Duul II, Can ed Embryo, seppure tra discordie di pareri e perplessità varie, hanno dato uno scossone formidabile all’establishment musicale europeo di impronta marcatamente ingiese.

Parliamo dunque dei Popol Vuh, ed iniziamo purtroppo con delle note dolenti: le loro opere sono di difficilissima reperibilità e poche sono le speranze di portare ad un pubblico sufficientemente vasto una musicha che non esitiamo a definire straordinaria.
Il nome del gruppo prende forma dall’unione die due termini apprarentemente incomprensibili: il primo, ‘popol’ viene ripreso dal titolo di un antico libro sacro degli indiani Quiche; il secundo, ‘Vuh’, è il nome di certe deità, noché una parola magìca che significa ‘ubertosità, luce, sole, ghiande infuocata’.
Ecco, per bocca degli stessi interessati, maggiori chiarimenti: “ ... in questo nostro paese, la Germania, abbiamo un’antica tradizione creativa, il cui fondamento si può ritrovare in una sorta di predisposizione mistica verso l’Assoluto. Dietro di noi abbiamo uno stuolo die peoti, di filosofi, di moltissima e splendida musica, i quali tutti rappresentano, in definitiva, il fascismo nella sua essenza più genuina. Ma attualmente possiamo dire di vivere in grande libertà, viviamo soprattutto criticamente rispetto all’euforia di massa, e alle distruzioni di massa. Noi lavoriamo ad una musica che è in sé stessa cosi libera da consentire a chi l’ascolta di abbandonarsi alle proprie fantasie. Noi cerchiamo e troviamoin antichi libri, che trattano dell’unita materiale ed immateriale del cosmo umano, la struttura di base, armonica e sonora, che reca in sé la forza della trasformazione. Così noi stessi sperimentiamo la musica come una testimonianza e questo messaggio lo trasmettiamo agli altri ....”

Simili esplicazioni, come facilmente si può notare, travalicano grandemente il fattore strettamente musicale, per arrivare a profondità sociali, religiose, culturali che lasciano di stucco. Ed accanto ad esse vive un mondo di suoni e di sensazioni davvero inarrivabile, indicibile nella sua maestosità, nella sua bellezza cosmica. I Popol Vuh colpiscono la nostra immaginazione, la nostra fantasia con raffische fatte di esotismo e di esoterismo tibrico; raggiungonzo il segno della nostraessenza, affascinano sensi e nervi, catturano la nostra attenzione e la nostra mente, per trasportarci in paesaggi lontani, in mondi diversi, in quelli iperurranio dove il nostro inconscio, la parte più intima e nascosta di noi stessi, trova la chiarezza e tendre a risplendere.
L’ascolto di “In den Garten Pharaos”, secondo album del gruppo è semplicemente scioccante. Ma preferiamo lasciare a Florian Fricke (Moog,Organo, piano e tastiere varie) il compito di introdurci più sapientemente alla loro musica.
Scrive Ficke: Intendiamo la Parola, il Canto ed il Suono come riscoperta di Dio, come Forza Risanatrice, come Corruzione e come Violenza. Tengo a spiegare ognuno di questi caratteri programmatici:

1 - PAROLO CANTO E SUONO COME RISCOPERTA DI DIO

“Nell’architettura dei tre principi della cosmogonia tibetana, il cui gradino più alto è l óttavo, con alla base quello zero che viene considerato come raffigurazione, della pRE-cREAZIONE, DEL Non- Nato, il senso dell’ottavo gradino, quello del Principe Spirituale. Ad esso, solitamente irraggiungibile per l‘uomo, si perviene con l ‘aiuto della Parola, del Canto o con la dedizione al Suono Interiore, alla parola stessa di Dio, detta ‘OM’”.
La Parola raffigura l ‘aspetto della Potenza; il Canto l’aspetto dell’Amore; la dedizione al Suono Interiore costituisce la via che conduce direttamente a Dio. L’orecchio è un organo femminile; nelle orecchie dimorano le dee delle direzioni spaziali, le pardone dell’elemento spazio che nel muscolo dell’orecchio è il grembo materno di questo suono che irrompe e subito “colora lo spirito”, come dice un antico proverbio indiano.
E cosi Parola e Canto influiscono in maniera determinante sull’equilibrio dell’uomo, e, ordinati secondo un rituale religioso, Parola, Canto e Suono contribuiscono nel modo più perfetto ad avvicinare l’uomo a Dio”.

A questo punto viene spontaneo domandarsi se quella dei Popol Vuh, musica concepita e strutturata su basi simili, abbia effettivamente del pazzesco o no. A noi personalmente appare come un tentativo straordinario, se considerato sia alle luce delle sue cause prime, che non anche per i suoi effetti; quelli musicali sono ineguagliabili e, quel che più conta, a nostro avviso fani quali il ‘600 ed il ‘7000, forse i migliori della storia musicale tedesca, per arrivare, poi, al rifiuto dello schematismo e delle reogre canoniche che nacque con l‘introduzione della sinfonia (Haydn, Beethoven, Mozart). Come allora, anche oggi assistiamo ad un revival del gusto per le espressioni timbriche e non melodiche, rivoluzionarie se vogliamo, ma che in pratica tendono verso proposizioni violente, ossessive, evocanti, determinate sensazioni.
Quello che avviene in pratica è lo smantellamento della costruzione tecnica per arrivare all’essenza della musica: oggi come allora, tendere verso l‘assoluto.
Ma il riallacciarsi anche e soprattutto a teorie di origine orientale, costituisce un altro punto fermo della costruzione armonica del Popol Vuh. Vediamolo insieme.

“....Non è più un utopia credere che il rapporto esistente fra l’altezza dei suoni, gli intervalli, la struttura dei suoni, il ritmo ed il cosmo da una parte, e l’uomo dall’altra, possano venire strutturalmente determinati entro i prossimi dieci-venti anni. L’India, invece, già da molti secoli, possiede un enorme patrimonio di analogie fra musica e natura, musica e corpo umano, musica e sistema planetario. L’India possiede, ad esemplo, la chiave drammaturgica del mistero della penetrazione della musica nel corpo. Se noi dovessimo riuscire, oltre che conoscere, anche a vivere intimamente le nuove aperture musicali che ci proponiamo di scoprire, e sulle quali, invece, il mondo orientale possiede un’enorme cultura per noi inarrivabile, allora noi saremmo di nuovo in grado di servirci della musica come di un potente mezzo terapeutico.

Vorremmo qui far notare come la costruzione armonica di origini orientale abbio precise rispondenze con caratteri prettamente fisici, ed infatti vedlamo come sono divisi i toni fondamentali: il primo, essenziale, trova una sua corrispondenza nell’anima; il secondo, nella testa; il terzo, nel braccio; il quarto, nel petto; il quinto, nel collo; il sesto nei fianchi; il settimo, nei piedi.
Una spiegazione forse più logica è la seguente; se mentre si suona si cerca di rapportare al suono emesso la parte del corpo corrispondente ad esso, si perviene allora ad una totale identità fisica con il suono, imprimendo a questúltimo una grande forza di persuasione: ancora più in pratica (e maggiormente in questo sta il fascino dei Popol Vuh), si può raggiungere, attraverso linee musicali, la massima espresione del proprio io interiore.
La musica dei Popol Vuh nasconde un’inimmaginabile forza, oppure, nel caso negativo, una tremenda violenza, poiché si è necessariamente costretti a considerare la musica sotto diversi aspetti. Quando si constàta che non la Parola, il Suono ed il Canto si può uccidere, si può violentare il singolo od il generale, i Popol Vuh tendono di rimando ad un tipo di espressione estremamente prudente, intima diremmo, in modo da poter raggiungere, con la musica un beneficio reciproco.
Popol Vuh: Florian Fricke: Moog, piano, tastire. Holger Trulzsch: percussioni turche ed africane. Frank fiedler: Moog, mixdown.
Discografia: ‘Affenstunde‘(l’ora della scimmia), pubblicato per la Liberty.
‘In den Garten Pharaos’, per la Ohr.