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Bron: Strumenti Musicali, nr.300, september 2006, p.16-20
Auteur: Roberto Valentino

LE MAGICHE ALCHIMIE DEI POPOL VUH

I Popol Vuh sono tornati. O meglio, è tornata di attualità la loro musica. Attorno a uno dei simboli della gloriosa stagione della "musica cosmica", fiorita in terra di Germania nei primi anni Settanta e che tanti proseliti fece anche dalle nostre parti, c'è infatti un rinnovato interesse, favorito dalla riedizione di tutti i vecchi album del gruppo.

Cuore, anima e cervello dei Popul Vuh (nome preso a prestito dal libro sacro di una tribù discendente dai Maya, i Quiché), è stato Florian Fricke, autentica incarnazione dell'alchimista per vocazione. Con i Popol Vuh il musicista e compositore bavarese, prematuramente scomparso nel dicembre 2001, ha gettato un ponte ideale fra Oriente e Occidente, fra spiritualità diverse, fra suoni elettronici (Fricke è stato uno dei pionieri in Europa nell'uso del Moog) e acustici, facendo propri anche i profumi psichedelici provenienti dalla lontana California. Evocativa, visionaria, inquieta, poetica, la musica di Fricke e dei suoi Popol Vuh ha accompagnato numerose pellicole di uno dei più grandi registi contemporanei, Werner Herzog. L'incontro tra Fricke ed Herzog è di fatto annoverabile fra ì più importanti avvenuti tra un musicista e un regista cinematografico, paragonabile alle collaborazioni di Nino Rota con Fellini e di Bemard Herrmann con Hitchcock. Film come "Aguirre, furore di Dio", "Cuore di vetro", "Nosferatu", "Fitzcarraldo" e "Cobra Verde" stanno infatti a testimoniare una delle più intense fusioni fra suoni e immagini.

Di tutto questo abbiamo parlato con la moglie di Florian Fricke, Bettina Waldthausen, e con suo figlio Johannes, recenti ospiti in Italia in occasione di un bell'omaggio concertistico reso ai Popol Vuh dal gruppo italiano di musica contemporanea Ars Ludi, nell'ambito del festival Aterforum di Ferrara.

Bettina, qual era la situazione musicale in Germania al momento in cui prese forma l'idea dei Popol Vuh?

Bettina von Waldthausen: A quei tempi, alla fine degli anni Sessanta, non c'era un tipo di musica che riflettesse la nostra identità. I modelli prevalenti venivano dagli Stati Uniti. Ma qualcosa cominciò a muoversi con il primo album degli Amon Düül, e subito dopo Florian maturò l'idea dei Popol Vuh. Fu l'inizio di una nuova scena musicale, nella quale confluirono sia il rock che certe sperimentazioni d'avanguardia. Era, quindi, una scena molto aperta.

Per descriverla vennero coniate definizioni come musica cosmica o krautrock. Qual era l'opinione di Florian in proposito?

BW: A Florian non interessavano queste cose: non si riconosceva né nell'una, né nell'altra defi-nizione. Preferiva che, parlando della sua musica, si usassero aggettivi come magica o lirica. La sua era una ricerca che includeva anche la musica indiana e aspetti della religiosità, ma andava al di là delle etichette. Era qualcosa di molto profondo e Florian ne era totalmente coinvolto.

Che rapporti c'erano tra i componenti dei vari gruppi? Florian partecipò, tra l'altro, alla realizzazione di uno dei primi album dei Tangerine Dream, Zeit.

BW: In quel periodo non c'era competizione tra i vari gruppi. C'era un forte spirito collaborativo che era lo specchio di quei tempi. Florian seguiva con attenzione ciò che all'epoca stavano facendo i Tangerine Dream, perciò fu invitato in studio a Colonia per registrare con loro. Un altro gruppo che a lui piaceva molto erano i Gila, il cui chitarrista, Conny Veit, entrò poi a far parte dei Popol Vuh di Hosianna Mantra.

A quell'epoca il compositore tedesco più all'avanguardia era Karlheinz Stockhausen. Florian rimase in qualche modo influenzato dalla sua opera?

BW: In realtà Florian non è mai stato influenzato in maniera particolare da nessuno. Ovviamente conosceva il lavoro di Stockhausen, ma la sua scoperta dell'elettronica e dei sintetizzatori avvenne in modo autonomo. Mi ricordo benissimo che quando comprò il Moog, all'inizio non sapeva come suonario. Florian aveva studiato musica classica e il suo strumento era il pianoforte, ma era fortemente affascinato dalla possibilità di combinare suoni diversi.

Nei primi due album dei Popol Vuh, Affenstunde e In Der Garten Pharaos, l'apporto del Moog è fondamentale. Come scoprì Florian questo strumento?

BW: Un nostro amico artista lo aveva comprato direttamente a New York da Robert Moog e Io fece provare a Florian, che poco dopo se ne comprò uno tutto per lui. Imparò a usarlo da solo, senza alcun manuale o qualcuno che lo aiutasse. Dopo aver inciso il materiale che sarebbe poi confluito nel primo album dei Popol Vuh contattò la United Artìsts. All'inizio trovò resistenza perché quella musica era considerata troppo sperimentale: qualcuno gli disse addirittura che quella non era musica. Ma alla fine il disco venne pubblicato. Il successivo In Der Gärten Pharaos ottenne buone recensioni e vendette anche bene. Ma Florian stava già entrando in una nuova fase: stava scoprendo la voce umana.

È vero che Florian diede il suo Moog a Klaus Schulze?

BW: Si, è proprio così. Florian aveva bisogno di soldi e in quel momento Klaus Schulze era più interessato all'elettronica di lui. Florian stava appunto riscoprendo i suoni acustici. All’elettronica sarebbe tornato anni dopo.

In realtà í Popol Vuh non sono maì stati un vero e proprio gruppo, ma un collettivo dall'organico variabile. Ci sono però dei musicisti che hanno offerto un contributo rilevante. Per esempio il chitarrista Danny Fichelscher, il cui sound limpido, cristallino contrassegna alcuni dei dischi più belli, come Seligpreisung,  Ensjager & Siebenjage e la colonna sonora di Aguirre.

BW: Sia Conny Veit che Danny sono stati due chitarristi molto importanti per i Popol Vuh. Danny era molto giovane, veniva dagli Amon Düül, e aveva un notevole senso ritmico. Tra Florian e Danny si stabili un legame molto forte, durato per anni. Dopo il distacco di Danny, Florian la sua inclinazione a essere soprattutto  un musicista concentrato sul lavoro in studio.

Parliamo adesso della collaborazione con Werner Herzog. Cos'è che l'ha resa così unica?

BW: Alla base di tutto c'era una profonda amicizia. All'inizio Florian lavorò come assistente alla realizzazione di uno dei primi film di Herzog, "Sign of Life". Successivamente Werner chiese a Florian le musiche per vari suoi film. Ma l’aspetto curioso è che Florian non ha mai composto appositamente qualcosa: faceva sentire a Herzog delle cose che aveva già pronte e Werner sceglieva quelle che gli sembravano più adatté al film a cui stava lavorando. Quando Florian morì, feci ascoltare a Werner dei pezzi per pianoforte, che lui poi inserì nella colonna sonora dí  “Wheel of Time”.

A suo parere qual è stato l'apice della loro collaborazione?

BW: Credo che in generale la musica  di Florian valorizzasse i film dì Werner, e viceversa I film valorizzavano la musica. Ma 'Aguirre’ ha un posto particolare nella mia memoria: quando vidi la scena iniziale, con la gente che scende dalla montagna e il coro che ne accompagna il cammino, rimasi sbalordita.

In effetti in quella scena la combinazione tra la musica e le immagini è davvero perfetta, molto coinvolgente...

BW: Florian realizzò quel coro non con delle vere voci umane ma con il mellotron e con un organo. E poi fece un loop. Il risultato di raga di grande impatto emotive.

Negli anni Settanta c'erano altri musicisti che lavoravano in modo simile, creando cioè dei loop. Per esempio Brian Eno. Florian ha mai avuto contatti con lui?

BW: Florian è sempre stato fondamentalmente un tipo solitario. Stimava molto Brian Eno ma non ebbero contatti diretti. Così come non ha avuto particolari contatti con musicisti al di fuori della sua cerchia. Era totalmente immerso nel suo mondo, giorno e notte.

JOHANNES FRICKE: Quando negli anni Novanta tornò a interessarsi di elettronica, probabilmente venne ispirato dalla musica techno che ascoltavamo io e mia sorella Anna. Ma non cercava mai di imitare la musica di altri. Ha sempre preso qualcosa dalla musica indiana o africana ma per creare qualcosa di suo, di originale. E così è stato anche per l'elettronica.

In quegli anni suo padre usava il synclavier...

JF: Era interessato ai nuovi fenomeni e la techno, come dicevo, ebbe su di lui un certo effetto. In quel periodo un suo stretto collaboratore era il tastierista Guido Hieronymus. lo stesso venni invitato in studio da mio padre quando stava lavorando a City Raga, perché voleva dei consigli su come realizzare certi suoni. Anche la colonna sonora di "Cobra Verde" e gli album For You and Me e Shepherd Symphony's riflettono questo nuovo corso elettronico.

BW: Il suo rinnovato interesse per l'elettronica ebbe anche un'altra motivazione. Florian era stato colpito da una forte infiammazione ai legamenti delle mani e anche dopo un'operazione chirurgica non riuscì a recuperarne la funzionalità per suonare il pianoforte come prima. Trovò quindi un aiuto nelle tecnologie digitali che gli permettevano di fare la musica che voleva con altri mezzi.

In quale direzione si stava muovendo Florian prima di morire?

JF: Aveva praticamente smesso di fare dischi, perché era rimasto deluso dal music business. Diverse etichette in Francia, in Giappone, in Italia ristampavano i dischi dei Popol Vuh senza che lui percepisse ciò che gli sarebbe spettato di diritto. Artisticamente stava lavorando alla combinazione fra suoni e immagini. Proprio in Italia presentò Messa di Orfeo, uno dei suoi ultimi lavori, fortemente intriso di tematiche religiose e mitologiche.

BW: Si stava anche dedicando all'insegnamento. A Monaco aveva costituito un gruppo dì lavoro dove si praticava lo studio della voce in stretta relazione con il corpo umano.

Johannes, quali sono i criteri con state curando la riedizione dell'opera disco ca dei Popol Vuh?

JF: Quando mio padre morì, mi posi subito il problema di come valorizzare tutto il lavoro che aveva lasciato. La prima cosa da fare era rimettere ordine al disastro causato dalle ristampe fuori dal suo controllo. Per cui abbiamo costituito un team formato da me, mia madre, mia sorella e da Frank Fiedler, uno dei membri originari dei Popol Vuh. Tutti i dischi sono stati quindi rimasterizzati e sono state aggiunte delle bonus track.

Si è anche pensato di realizzare delle compilation a tema: 70's Progressive è la prima e altre ne seguiranno. C'è anche l'idea di fare dei remix. Ci sono molti musicisti dell'area elettronica, come Pansonic, Jim O'Rourke e Aphex Twin, che si sono dimostrati interessati. Credo che questo possa essere un modo per fare conoscere alle nuove generazioni di ascoltatori la musica dei Popol Vuh. I dischi originali rimarranno comunque la testimonianza più vera di quello che mio padre ha fatto.

I POPOL VUH SECONDO ARS LUDI

"Tetralogia del sogno e del dolore" è il titolo del concerto multimediale dedicato alle musiche di Florian Fricke e dei Popol Vuh dagli Ars Ludi, trio di percussionisti allargato nell'occasione ad altri musicisti (Mario Arcari ai fiati, Lutte Berg alla chitarra e Danilo Cherni alle tastiere), e a un coro di 12 elementi. Brani provenienti dalle colonne sonore dei quattro film più noti di Werner Herzog, "Aguirre, furore di Dio", "Nosferatu", "Fìtzcarraldo" e "Cobra Verde", tutti magistralmente interpretati da Klaus Kinski, sono stati proposti lo scorso giugno a Ferrara in una veste inedita, con la proiezione simultanea di immagini tratte dalle stesse pellicole. A Gianluca Ruggeri, che assieme a Rodolfo Rossi e Antonio Caggiano costituisce il nucleo base di Ars Ludi, abbiamo chiesto di illustrarci i dettagli ideativi del loro progetto.

Ars Ludi è un ensemble specializzato in musica contemporanea e la scelta di interpretare pagine dei Popol Vuh, generalmente collocati nell'area del rock, potrebbe quindi sembrare a qualcuno quantomeno insolita. Da dove viene il vostro interesse per la musica del gruppo tedesco?

GIANLUCA RUGGERI: La musica che ha una delle sue ragioni d'essere nella sperimentazione, nella pratica di codici diversificati, conserva una vitalità che la rende attuale o, perlomeno, attualizzabile. Ars Ludi è formato da musicisti che, anche per ragioni di età, hanno mosso i primi passi nella musica con il rock, specialmente quello di matrice underground, psichedelica. Come molti percus-sionisti della nostra generazione, veniamo dalla pratica con la batteria. Insomma, in vari modi, questa musica è rimasta nel nostro patrimonio artistico, magari in una zona meno frequentata rispetto alla nostra attività più recente, ma con la quale abbiamo un rapporto di grande confidenza. Vorrei poi ricordare che negli anni Settanta il mondo del rock non era così distante dal mondo della cosiddetta musica contemporanea, come lo sarebbe invece stato nei decenni a seguire.

Qual è l'aspetto che più vi ha colpito della musica di Fricke e dei Popol Vuh?

GR: L'elemento più affascinante è lo svolgersi dello sviluppo musicale, la lentezza del procedere armonico e melodico che accomuna la musica di Fricke alle esperienze minimaliste più influen-zate dalla musica indiana, ma che si attua in un contesto di ricerca di uno stato di trance più vicino al rock psichedelico. Inoltre, è stimolante, nonché molto "contemporaneo", l'evitare da parta dei Popol Vuh qualsiasi forma di compiacimento tematico. Nella loro musica il melos complessivo prevale sulla melodia.

Con che criterio sono stati scelti i brani de concerto?

GR: Abbiamo privilegiato i brani inseriti nelle colonne sonore di quattro film di Herzog, e tra questi abbiamo optato per quelli che si prestavano più facilmente alla composizione della nostra formazione strumentistica.

Qual è secondo voi l'apice della collaborazione tra Fricke e Herzog?

GR: A questa domanda ci sentiamo di rispondere in modo affettivo e di pura suggestione, in qualità di semplici fruitori di una comunione artistica tra le più rare nella storia del cinema. Il brano "Lacrime di Re" da "Aguirre, furore di Dio” è un lungo brivido per l'anima, per le orecchie e per la vista.

Che tipo di problematiche avete dovuto affrontare nel riprendere queste musiche?

GR: La trascrizione è stato il lavoro più lungo e complesso. Abbiamo dovuto riprendere tutto dai dischi, poiché non esistono partiture. L'uso dell'elettronica da parte di Fricke ha poi reso il compito più arduo, perché i sintetizzatori generano un gran numero di armoniche di difficile percezione, anche per via dell'uso della riverberazione. Dal punto di vista dell'esecduzione, la maggiore difficoltà l'abbiamo incontrata nell'assestare il coro che si è trovato a cantare accordi anche di lunghissima durata, senza avere un testo di riferimento ma dovendo imitare un "coro sintetico", prodotto originariamente dal mellotron o dal synclavier.

Al concerto avete dato un taglio multimediale. Sotto il profilo tecnico avete incontrato difficoltà nel ricercare un punto di contatto fra musica e immagini?

GR: L'aspetto multimediale è imprescindibile dalla musica dei Popol Vuh, poiché loro stessi hanno fatto sempre ricorso alle immagini, soprattutto quando proponevano i brani legati ai film di Herzog. Oltretutto l'esperienza del rock psichedelico si configura come prototipo di concerto multimediale. Volendo evitare una mera riproposizione dei brani come colonna sonora, devo dire che non è stato facile rimontare immagini di film così important. Credo, infatti, che su di esse dobbiamo ancora intervenire, per far emergere maggiormente l'aspetto musicale rispetto a quello visivo.

Pensate di riproporre questo progetto in future?

GR: Certamente. Abbiamo buone possibilità di riproporlo in autunno a Reggio Emilia e a Roma. Ci saranno degli aggiustamenti, poiché sin dai' l'inizio abbiamo considerato questo nostro lavoro un work in progress. Come ci ha detto Johannes Fricke, il figlio di Florian che ha apprezzato  il concerto, abbiamo bisogno di un "progressive fine tuning", come progressive è il mondo sonoro che abbiamo attraversato.